"Educazione Siberiana" di Nicolai Lilin
“C'è chi si gode la
vita, c'è chi la soffre, invece noi la combattiamo”
Antico detto degli Urca siberiani
In Transnitrinia febraio è il mese più
freddo dell'anno.
Tira un vento forte e l'aria diventa
pungente, pizzica sulla faccia; tutt quelli che escono
per strad si coprno cme mummie, i
bambini sembrano bambolotti, impacchettati in mille cestiti, con le
sciarpe fin sugli occhi.
E' in quel mese che sono nato io.
Ero così malmesso che nell'antica
Sparta senza dubbio mi avrebbero eliminato per via del mio stato
fsico. Invece m hanno messo in una incubatrice.
Da bambino non mi interssavano i
giocattoli.
A quattro cinque anni per divertirm
giravo per casa cercando di beccare il moment in cui mo nonno e mio
zio si mettevano asmontare e pulire le armi.
Le pulivano spesso, con cura e amore,
perchè ne avevano veramente tante.
Mio zio diceva che le armi sono come le
donne, se non le accarezzi abbastanza diventano troppo rigide e ti
tradiscono.
Nonno kuzja era considerato un'autorità
tra i criminali.
Ad ascoltare i suoi consigli erano
molti criminali onesti e buoni di caste diverse,
e dato che lui era saggio e
intelligente e non aveva interessi personali, perchè la sua vita,
come amava ripetere, apparteneva
totalmente alla comunità,
rusciva ad ottenere da tutti
collaborazione e amiczia.
Quando gli facevo domande su questo suo
ruolo di “uomo di pace”,
mi rispondeva che la guerra la fa chi
non segue i principi veri, chi non ha dignità.
Perchè non esiste niente a questo
mondo che non possa essere condiviso
in modo da accontentare tutti.
“Chi vuole troppo è un pazzo, perchè
un uomo non può possedere più di quello
che il suo cuore riesce ad amare”.
Noi ragazzi di Fiume Basso vivevamo
davvero seguendo le leggi criminali siberiane,
avevamo un robusto sentimento religioso
otodosso, con un'influenza pagana molto forte,
e venivamo chiamati da tutto il resto
della città “Educazione Siberiana” per i nostri modi di fare.
Non dicevamo parolacce, non offendevamo
mai il nome di Dio o della madre,
non parlavamo senza rispetto di una
persona anziana e di una donna incinta,
di un bambino piccolo o di un disabile.
Eravamo abbastanza inquadrati e a dire
la verità non avevamo bisogno delle parolacce
per sentirci adulti come i nostri
coetanei di altri quartieri, perchè eravamo trattati
come se facessimo veramente parte della
comunità criminale.
Siamo partiti per il nostro laghetto.
La notte era bella, c'erano tante stelle in cielo e nel mezzo una leggera sfumatura bianca che brillava e ondeggiava, sembava qualcosa di magico.
Lontano si sentiva il rumore del vento che passava sui campi, e ogni tanto il suo fischio lungo e sottile arrivava vicino, come se stesse passando in mezzo a noi.
L'odore del fiume si mischiava a quello del bosco e cambava sempre, sembrava di sentire
le foglie di acacia e di tiglio, distinte, e poi quello del muschio in riva al fiume.
A un tratto dal bosco sono usciti tre piccoli cervi reali per abbeverarsi,facevano rumore con la lingua e dopo starnutivano, come fanno i cavalli.
In quell'incanto io ero come sciolto, momenti come quelli per me, erano fra i più preziosi nella vita,
e se mi avessero chiesto cos'è il paradiso io senza dubbio potevo dire che era un momento
simile che dura per sempre.
Nessun commento:
Posta un commento