di Murakami Haruki
“Avevo trentasette anni, ed ero seduto a bordo di un Boeing
747. Il gigantesco velivolo aveva cominciato la discesa attraverso densi strati
di nubi piovose, e dopo poco sarebbe atterrato all’aeroporto di Amburgo.
Quando l’aereo ebbe completato l’atterraggio, la scritta
”Vietato fumare” si spense e dagli altoparlanti sul soffitto cominciò a
diffondersi a basso volume una musica di sottofondo. Era Norwegian Wood dei
Beatles…
Anche adesso che sono passati diciott’anni, riesco ancora a
ricordare chiaramente quel prato e il paesaggio intorno. Le montagne, che una
dolce pioggia interminabile aveva lavato dalla polvere di tutta un’estate, si
erano ricoperte di un verde profondo e smagliante, il vento di ottobre faceva
fremere qua e là le piume dei susuki e nuvole lunghe e sottili aderivano
perfettamente alla sommità del cielo, azzurro e trasparente come una lastra di
ghiaccio. Il cielo era così infinito che a guardarlo fisso dava la vertigini.
Strana cosa la memoria. Nel momento in cui mi trovavo
realmente lì, non mi rendevo nemmeno conto del paesaggio. Non mi sembrava che
avesse niente di particolare..A dir la verità, in quel periodo non avrebbe
potuto importarmene meno del paesaggio. Pensavo solo a me stesso, alla ragazza
così bella che camminava al mio fianco, alla nostra storia, e poi ancora a me.
Era un’età in cui qualunque cosa io potessi vedere, sentire,
pensare, mi tornava sempre nelle mani come un boomerang. Per giunta ero
innamorato, e quell’amore mi aveva portato in una situazione terribilmente
complicata.
Non c’era nessuno spazio per accorgersi del paesaggio.”
“Era passato circa un anno da quando l’avevo vista l’ultima
volta.
In quei mesi Naoko
era dimagrita al punto da sembrare quasi un’altra. Dalle sue guance paffute,
che erano la caratteristica del suo viso, era sparita quasi tutta la carne, e
anche il collo si era molto assottigliato, ma sebbene così dimagrita non aveva
assolutamente un’aria spigolosa o malata. Il suo dimagrimento sembrava dovuto a
un processo naturale non traumatico. Era come se lei si fosse nascosta in un
luogo lungo e stretto e il suo corpo si fosse naturalmente affusolato, per
adattarsi a quello spazio.
Non riesco a parlare molto bene, - disse Naoko – ho questo
problema già da un po’ di tempo. Ogni volta che cerco di dire qualcosa, mi
vengono sempre le parole meno adatte, se non addirittura opposte a quelle che
vorrei dire. E se cerco di correggermi, mi confondo ancora di più e peggioro la
situazione al punto che alla fine non so più nemmeno quello che volevo dire.
Naoko sollevò il viso
e mi guardò negli occhi. – Puoi capire una cosa del genere? (…)
Io leggevo molto i libri, è vero, ma non leggevo molti
libri, perché a me piaceva leggere più volte quelli che amavo. Gli scrittori
che preferivo in quel periodo erano Truman Capote, John Updike, Francis Scott
Fitzgerald e Raymond Chandler…
Leggevo e rileggevo lo stesso libro molte volte, e a volte
chiudevo gli occhi e mi riempivo i polmoni del suo odore. Il semplice annusare
quel libro, scorrere le dita tra le pagine, per me era la felicità.
In quel periodo intorno a me c’era una sola persona che
avesse letto Il Grande Gatsby, e fu
questa la ragione per qui stringemmo amicizia. Si chiamava Nagasawa, studiava
legge all’Università di Tokio ed era due anni avanti a me.
Aveva letto talmente tanto che come lettore io non potevo
neanche accostarmi a lui…
-
Quali sono gli scrittori che ti piacciono? – provai a
chiedere.
-
Balzac, Dante, Joseph Conrad, Dickens, - rispose lui
pronto.
-
Non proprio gli autori del momento .
-
E’ proprio per questo che li leggo. Se uno legge quello
che leggono gli altri,
-
finisce col pensare allo stesso modo.”